Ciao nonno,
ogni tanto faccio leggere ai miei alunni dei racconti giapponesi per bambini. Sono quelli popolari da noi, tipo “Urashima Taro” e “Chuken Hachikou”
Alcuni, dopo averli letto, si sorprendono per il fatto che le storie per bambini siano così tristi e finiscano male.
Un ragazzo pescatore, che si chiama Urashima Taro, salva una tartaruga malmenata dai bambini sulla spiaggia e la fa tornare nel mare.
Dopo una settimana la tartaruga ritorna sulla spiaggia e porta Taro al castello subacqueo come ricompensa.
Trascorre molti giorni piacevoli facendo festa con la principessa del castello, che si chiama Oto-hime.
Passano tre anni e inizia a sentire la nostalgia di casa. Dice alla principessa: “E’ ora di ritornare a casa. Ho lasciato mia madre da sola”
Lei gli chiede di rimanere un po’ di più ma alla fine acconsente. Prima che partisse la principessa gli dona una scatola come ricordo, dicendo di non aprirla mai.
Taro la ringrazia per il regalo e per la loro ospitalità e ritorna a casa salendo sulla tartaruga.
Però la spiaggia è cambiata completamente e non riesce a trovare la sua casa. Allora chiede ad un anziano spiegazioni riguardo la sua casa e sua madre.
L’anziano dice: “Non so nulla, ma c’era una casa 100 anni fa”
Taro si siede sulla sabbia depresso ed apre la scatola pensando che ci sia qualcosa dentro che possa aiutare
Dalla scatola esce del fumo bianco e quando lo inala diventa un uomo molto vecchio. (La scatola conteneva quei 100 anni perduti)
In particolare questa storia “Urashima Taro” fa venire tanti dubbi agli alunni:
“Il ragazzo ha salvato la tartaruga. Come mai questa fine?”
“Il ragazzo, non è che si comportasse male nel castello. Perché la principessa gli ha dato questa scatola?”
Forse non è sempre necessario trovare la morale in una storia. I bambini la accettano così come è.
Se la storia di Urashima Taro finisse bene sarebbe più banale e sarebbe sparito dalla memoria della gente.
Invece proprio per questa fine tutti i giapponesi se la ricordano.
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